Dott.ssa Giallonardo, da quando Louise Brown, la prima bambina concepita in provetta, è venuta alla luce quali sono state le tecniche alle quali, come professionista e ricercatrice si è dedicata?
Durante la mia attività professionale cominciata nel 1985, prima al Policlinico Umberto I, poi in diverse strutture private, ho utilizzato svariate tecniche di primo, secondo e terzo livello. All’inizio ho utilizzato la GIFT (anche nelle varianti di ZIFT e TET) che consiste in una variante della FIVET classica e si differenzia da essa in quanto la fecondazione non avviene in vitro ma all'interno delle tube, dove vengono posti ovociti e spermatozoi, tramite laparoscopia. Attualmente la tecnica di fecondazione in vitro a cui mi dedico, è principalmente la FIVET-ICSI, che consiste in una microiniezione dello spermatozoo nell’ovocita e il successivo trasferimento dell’embrione in utero; per le pazienti che non possono sottoporsi a stimolazione ovarica ricorro a questa tecnica ma su Ciclo Spontaneo, che si differenzia da quello stimolato farmacologicamente in quanto si basa sul ciclo naturale della donna. In alcuni casi utilizzo la IMSI, che permette di selezionare gli spermatozoi da inseminare con un microscopio ad alto ingrandimento. Nei casi di sterilità maschile utilizzo invece la Tese (biopsia testicolare) e la FNA con cui è possibile recuperare gli spermatozoi nei casi di azoospermia (assenza di spermatozoi nel liquido seminale) e di aneiaculazione (l'impossibilità patologica di eiaculare).
A suo avviso, per quale motivo la PMA sembra non essere dovutamente analizzata e considerata dalle Facoltà di Medicina e dalle Scuole di Specializzazione in Ostetricia e Ginecologia, almeno nel nostro Paese?
La Procreazione Medicalmente Assistita è una tecnica per la cura della sterilità e nei corsi di Laurea e nelle Specializzazioni questa tematica viene affrontata in modo generale ma esaustivo. Per i ginecologi che desiderano approfondire la questione sono presenti sul territorio numerosi corsi di “super specializzazione”.
Per le donne italiane procreare a quarant’anni sembra non essere più un problema. È così o è solo la conseguenza del ritardo nella formazione stabile di una coppia, oggi così in crisi?
Procreare a quarant’anni è oggi una conseguenza dei ritmi di vita attuali e del ritardo nella formazione di una coppia stabile. Le attuali condizioni di vita spesso impongono un rallentamento della progettualità ad avere una famiglia.
Il calo della natalità è stato definito “patologia del III Millennio”. Quali sono le cause secondo la sua esperienza?
Secondo la mia esperienza il calo della natalità dipende principalmente da motivazioni culturali ed economiche che portano le donne, oggi, a formare una coppia stabile in ritardo rispetto alle generazioni precedenti. Se a questo aggiungiamo anche un aumento significativo dei casi di sterilità femminile e maschile, risulta comprensibile come molte coppie dopo diversi tentativi decidano di rivolgersi ai centri per la PMA.
Come è possibile stabilire, per ogni donna, la tecnica giusta di PMA?
Per stabilire la giusta tecnica per ogni paziente è fondamentale fare un’accurata anamnesi al fine di comprendere le cause sottostanti alla difficoltà di procreare. In questa sede verranno indagate le patologie pregresse, le eventuali infezioni genitali, le abitudini e l’attività sessuale, senza trascurare gli eventuali tentativi già effettuati. È importante che la paziente presenti tutte le analisi già effettuate in passato al fine di permettere al medico di avere un quadro, il più chiaro possibile, della situazione. Le varie cause che possono portare ad una situazione di infertilità sono: fattore tubarico, fattore ovulatorio, fattore cervicale, fattore maschile e infertilità inspiegata. Una volta identificata la causa dell’infertilità il passo successivo è la scelta della tecnica. Generalmente tutte le tecniche di PMA permettono, utilizzando dei protocolli terapeutici, un aumento della produzione degli ovociti, si aumentano la qualità degli spermatozoi con tecniche di capacitazione e favoriscono l’incontro dei gameti. Le tecniche sono di I livello (Inseminazione Intrauterina) se la fecondazione avviene all’interno del corpo femminile, e di II livello (ICSI-FIVET (Fecondazione in Vitro con Trasferimento dell’Embrione) se la fecondazione avviene in vitro.
Ci può illustrare in modo semplice in che cosa consiste il cosiddetto “Ciclo Spontaneo”?
Generalmente consiglio il trattamento su Ciclo Spontaneo alle donne che presentano controindicazioni o non desiderano la stimolazione ovarica con le gonadotropine (pazienti che hanno problemi ormonali, ovaio micropolicistico o hanno avuto tumori ormonosensibili, o hanno patologie in cui sono sconsigliati alti livelli di estrogeni), oppure alle donne che non rispondono adeguatamente ai farmaci utilizzati per la stimolazione ovarica, le cosiddette Poor Responder, pazienti per le quali la stimolazione ovarica non da nessun risultato e che non potrebbero essere trattate altrimenti.
Questa tecnica quindi non richiede stimolazione ovarica con le gonadotropine, ma viene effettuata solo sul singolo ovocita prelevato dal follicolo che cresce e matura spontaneamente in ciascun ciclo mestruale della donna. La paziente viene controllata ecograficamente ogni giorno dal 7° giorno del ciclo per seguire la crescita del follicolo ovarico, e quando questo raggiunge le dimensioni di 18mm circa si somministra la gonadotropina corionica (Gonasi) per determinare la maturazione dell’ovocita. Dopo 36 ore dall’iniezione si procede con prelievo ovocitario, effettuato con l’ecografia transvaginale, che permette di arrivare nel follicolo ovarico con l’ago da prelievo (tutto questo può avvenire sia in sedazione che con una leggera anestesia locale). L’ovocita così prelevato viene trattato come in tutti gli altri cicli di fecondazione assistita, e tramite ICSI viene fecondato con uno spermatozoo del partner.
Sarà possibile in futuro protrarre ulteriormente l’età riproduttiva femminile?
La scienza, all’estero, già permette questo mediante la crioconservazione di frammenti del tessuto ovarico prelevati in età fertile. In Italia questa tecnica è in via sperimentale.
Quale consiglio si sente di dare a quelle coppie che, a causa dell’età avanzata della donna o a causa di forte sterilità maschile vogliono iniziare una PMA ma sono preoccupate dalle limitazioni imposte dalla legislazione vigente?
Il primo consiglio che mi sento di dare è di non perdere tempo e di rivolgersi subito ad un centro per la sterilità, in questi casi, infatti, è fondamentale la tempestività nel procedere, al fine di ottenere una diagnosi nel minor tempo possibile. Dopo aver consultato uno specialista del settore ed aver avuto una diagnosi, la coppia può, in accordo con il medico, iniziare una PMA. In Italia le limitazioni che imponeva la legge 40/2004 si sono ridotte molto: non è più obbligatorio prelevare massimo tre ovociti e non è più obbligatorio impiantare massimo tre embrioni. Per quanto riguarda poi la sterilità maschile oggi disponiamo di tecniche avanzate, come la Tese che permette di prelevare parte del tessuto testicolare e di prelevare da esso gli spermatozoi. L’unica limitazione che è rimasta è quella legata all’ovodonazione, in Italia infatti non è possibile effettuare fecondazioni cosiddette eterologhe.
Può elencare le principali azioni da intraprendere per iniziare una PMA in modo sereno?
Se una coppia dopo 6/8 mesi di rapporti mirati non riesce ad ottenere una gravidanza, è importante che dopo un anno si rivolga ad un centro per la sterilità per analizzarne le cause e quindi adottare le tecniche più adeguate.
Marzo 2017 | Loredana Gelli